giovedì 25 aprile 2013

A PROPOSITO DI LIBERAZIONE ANIMALE, NEL GIORNO DELLA LIBERAZIONE DAL FASCISMO



 Sempre più spesso si sente parlare di liberazione animale. Sempre più persone stanno acquisendo nel proprio vocabolario questa espressione, che, nell'essere ripetuta più e più volte, spesso a sproposito, può perdere il suo incisivo e reale significato.

La parola 'liberazione' evoca nella propria etimologia il termine libertà; probabilmente uno dei valori più importanti della società umana. Chiunque si consideri in qualche modo libero o che riconosca l'importanza di una lotta per la propria libertà o per quella collettiva, vede in questo valore uno dei capisaldi di qualsiasi società evoluta.
Eppure non solo l'essere umano è in grado di creare gabbie e sbarre per i propri simili, siano esse concrete come le mura di una prigione,  il filo spinato di un CIE, o impalpabili come quelle alimentate da una visione distorta, retrograda e non paritaria della struttura della società umana stessa, ma pone in una condizione di schiavitù, di privazione forzata della libertà, miliardi di individui ogni anno, in ogni parte del mondo.
Individui privati di un diritto riconosciuto inalienabile in una società evoluta, per una discriminazione basata sulla differenza di specie.

Eppure, amiamo la libertà in quanto componente della società umana, o amiamo la libertà in quanto tale, in quanto valore altissimo e nobile, per il cui ottenimento è lecito lottare e mettersi in gioco in prima persona fino all'ultimo?
La libertà resta libertà, nel modo in cui può essere vissuta da un essere umano così come da un qualsiasi altro individuo di un'altra specie. Anzi, forse è solo l'essere umano a fare un uso perverso della propria libertà, utilizzandola per andare a privare gli altri, suoi simili e non, di tale preziosa ricchezza.
L'amore per la libertà non deve quindi conoscere distinzioni. Non si può amare la libertà per un gruppo di individui, mentre si è responsabili della schiavitù di altri individui, soggiogati, sfruttati e uccisi perchè appartenenti ad una diversa specie.

Inoltre, nell'espressione “liberazione animale” esiste quell'altra componente, 'animale', così banale eppure così profonda.
Non siamo forse tutti animali? Non è l'essere umano un animale anch'esso, che cresce, nutre, accudisce i propri piccoli, per poi spingerli nel mondo, con la speranza che possano godere della luce del sole, del meglio che questo mondo possa offrire, della tanto amata libertà?
Cosa ci renderebbe diversi dalle altre specie? La capacità di prevaricare gli altri, la capacità di sottomettere e svilire i nostri simili o gli appartenenti alle altre specie? E se la peculiarità dell'essere umano fosse quella di saper cercare il bene dei propri simili, così come delle altre specie, la libertà degli individui e della collettività, non sarebbe forse un mondo migliore?

Eppure anche oggi, 25 aprile 2013, mentre rivendichiamo il grido di libertà di chi si è immolato per la fine della dittatura fascista, mentre rilanciamo il desiderio di lottare contro le ingiustizie e le discriminazioni che ancora serpeggiano all'interno della società umana, miliardi di individui si trovano in prigionia, sfruttati e uccisi, mercificati ad uso e consumo umano.

E allo stesso tempo, mentre molte persone prendono confidenza con gli aspetti, talvolta i più superficiali e immediati, del concetto di “liberazione animale”, c'è chi vorrebbe vedere il dono della libertà solo per gli schiavi non umani, non curandosi affatto della violenza, dell'oppressione, delle gabbie che cingono e costringono molti animali umani, sotto varie forme, tutte modellate dal più maligno autoritarismo, un concentrato di feroce prevaricazione.

Per questo, chi vuole la liberazione, chi vuole la libertà, non può volere il fascismo. Perchè il fascismo è per definizione dittatura, coercizione, violenza, sopruso; il fascismo è la non-libertà.
Il fascismo è la negazione di tutto ciò che è vita, tutto ciò che è il naturale, istintivo desiderio, di ogni animale, umano o non umano che sia, di essere libero.
Il fascismo non è un'idea. Il fascismo non è un'opinione. E' la negazione di tutte le idee e di tutte le opinioni. Un non-dialogo in cui le battute sono già sistematicamente predisposte e scritte, senza libertà alcuna per voci al di fuori dal coro. Una gabbia di ferro per una società assoggettata, schiavizzata, in cui anche il solo desiderio di libertà, per sé o per altri individui, non è contemplabile.

La lotta per la liberazione animale non è una lotta che parte dall'amore per gli animali. E' una lotta che parte dall'amore per la libertà, per tutte le specie, umani e non umani.
A prescindere dall'etnia, dal genere, dall'orientamento sessuale o dalla specie di appartenenza, tutti noi, individui che popoliamo e condividiamo questo Pianeta, vogliamo la libertà. Una libertà che può esistere solo nel momento in cui si consente agli altri di essere liberi. Per questo non devono esistere più gabbie e non devono esistere più schiavi.
Chi ama la libertà non può amare il fascismo.

Liberazione animale è liberazione umana; liberazione umana è liberazione animale.

Per la libertà, oggi e sempre!
Antispecisti Libertari Brescia

mercoledì 24 aprile 2013

24 APRILE | GIORNATA MONDIALE PER GLI ANIMALI DEI LABORATORI



INTERVISTA A UNA EX-RICERCATRICE 
DELL’ UNIVERSITA’ DI BRESCIA


ABBATTIAMO IL MURO DI SILENZIO !






 

Sono passati tre anni dal 24 aprile 2010, giorno della prima manifestazione nazionale a Montichiari indetta dal Coordinamento Fermare Green Hill, e dal quel momento la lotta antivivisezionista ha tolto in modo sempre più determinato la coltre di silenzio sotto la quale l’industria farmaceutica ha operato per troppi anni. I vivisettori hanno ormai un nome e un volto, così come sono stati smascherati i 600 centri di ricerca e laboratori autorizzati dal Ministero della Salute in cui trovano la morte migliaia di individui ogni anno.

Ma il 24 aprile si celebra la giornata mondiale per gli animali dei laboratori, una giornata in cui si ricordano le vittime di una ricerca eticamente inaccettabile e ingiustificabile.


Proprio sabato scorso a Milano cinque attiviste/i del Coordinamento Fermare Green Hill hanno occupato il quarto piano del Dipartimento di Farmacologia dell’Università di Milano. Dopo una giornata intera di contrattazione con i responsabili della facoltà, le/gli attiviste/i sono riusciti a liberare centinaia di topi e un coniglio.
Il 20 aprile è stata quindi una giornata storica sia del movimento di liberazione animale e che del movimento antivivisezionista.

Qualche tempo fa, dopo aver letto una testimonianza da noi precedentemente condivisa, ci ha contattati una persona che desiderava raccontandoci il proprio percorso universitario post laurea. Percorso che ha poi abbandonato, dedicando la propria educazione e vita ad altri scopi.
Vogliamo dare spazio anche al pensiero scientifico antivivisezionista ed è per questo che abbiamo deciso di pubblicare, soprattutto dopo questi ultimi eventi, questa intervista ad un ex-ricercatrice della facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli studi di Brescia.
Giorno dopo giorno il muro di silenzio viene abbattuto e questo documento ne è la testimonianza.

Contro lo specismo – per la liberazione animale
ALBS - Antispecisti Libertari Brescia

www.antispecistilibertari@gnumerica.org
infoline: 3312183383



INTERVISTA A UNA EX-RICERCATRICE DELL’UNIVERSITA’ DI BRESCIA

La realtà che ne emerge è sconfortante e naturalmente per tutelarla resterà anonima. Questo è ciò che ci ha raccontato:

D: Come ti sei avvicinata all'università di Brescia, qual'é stato il percorso che ti ha portato nei laboratori in cui si pratica la vivisezione?

R: Partendo dal mio percorso universitario, nel 2002 ho conseguito una laurea in biotecnologie a Milano, poiché a Brescia ancora non esisteva il corso. Dato che in quel periodo questo corso di studi era considerato pionieristico, avendo sempre avuto una grande passione per la scienza e mi sembrò un percorso obbligato. Abitando io in provincia di Brescia, volevo avvicinarmi a casa, però continuando il percorso della ricerca, quindi immediatamente dopo la laurea portai il mio curriculum all'università di Brescia dove uno dei professori a cui lo sottoposi trovò interesse nella mia tesi e cominciai successivamente a lavorare come ricercatrice con una borsa di studio.

D:Un dottorato?

R: All'inizio no, si tratta di borse di studio di 3 mesi, che vengono usate come metodi per testare le persone. Prima di darti la possibilità di avviare un dottorato, questo tipo di collaborazioni danno modo ai professori di capire se si ha le risorse e le capacità per continuare il percorso.
Il concorso per il dottorato è stato l'anno successivo. Ho vinto questo concorso arrivando prima e aggiudicandomi il dottorato, rimanendo quindi nel laboratorio dove lavoravo da ormai un anno. I miei compiti non sono cambiati, se non per il fatto che alle volte tenevo delle lezioni per i ragazzi dell'università. Per quanto riguarda il laboratorio, ho continuato a lavorare al bancone.

D: Cosa significa lavorare al bancone?

R: Eseguivo esperimenti di biologia molecolare. In particolare dove lavoravo io si conducevano esperimenti su culture cellulari, ma anche su materiale proveniente da animali. L'università è dotata di uno stabulario, quindi venivano usati tessuti e organi provenienti direttamente dagli animali detenuti in quest'ultimo.

D: Hai un'idea generale di quali e quanti animali si trovavano nello stabulario, nel periodo in cui hai lavorato lì?

R: Gli animali nello stabulario sono topi e ratti. La quantità è stimabile in qualche centinaia. Gli ordini effettuati mensilmente richiedevano alle volte fino a 50-60 animali per volta. Gli animali non rimangono a lungo nello stabulario, perché dal loro arrivo passa difficilmente più di un mese prima che vengano uccisi. Quindi deve esserci un grosso ricircolo.

D: Hai mai dovuto eseguire esperimenti su questi animali?

R: All'inizio mi sono sempre rifiutata di avere a che fare con l'animale vivo, pertanto quello che arrivava a me erano i tessuti. Però questi esperimenti venivano fatti, e io ho dovuto assistervi, perché quando sei un ricercatore e ti dicono che devi scendere in stabulario, ci devi andare. Quindi per quanto ti rifiuti di vedere o avere a che fare con certi aspetti della ricerca, nell'arco degli anni ti capita di entrarvi a contatto. E a me è capitato.

D: Che tipo di esperimenti vengono svolti in università, oltre quelli sui tessuti di cui mi hai parlato?

R: In particolare dove lavoravo io, la ricerca verte sul sistema nervoso, in particolare sulle malattie degenerative. Uno dei tipici esperimenti a cui ho assistito personalmente dall'inizio alla fine, è la lesione neuronale. Le malattie degenerative, come morbo di Parkinson o Alzheimer comportano a livello fisiologico la degenerazione progressiva dei neuroni di una particolare area cerebrale. Per simulare questo nell'animale, viene lesionata l'area che si intende studiare.

D: Questo come avviene?

R: Praticamente, si usano degli atlanti stereotassici (veri e propri atlanti delle aree del cervello degli animali). Ad ogni pagina dell'atlante corrispondono delle coordinate in nanometri. L'animale viene poi inserito nell'apparato stereotassico, che è una sorta di gabbia che viene infilata sulla testa dell'animale. Si esegue un'anestesia; successivamente con un ago, orientandosi con le coordinate dell'atlante si inetta una sostanza che degenera i neuroni dell'area interessata. Quando l'animale si risveglia, presenta dei sintomi simili a quelli della malattia che si desidera simulare. Dopodiché cosa succede? Dopo un periodo di tempo l'animale viene sacrificato, il cervello viene asportato e si analizzano le aree interessate dalla patologia.

D: Considerati gli esperimenti che hai visto e che sai che si praticano all'interno dell'università di Brescia, ritieni giusto parlare di benessere animale?

R: Assolutamente no. In primo luogo vengono costretti a vivere a ciclo invertito. Essendo topi e ratti animali notturni, il ciclo di luce e buio è invertito in modo che gli animali siano attivi durante il giorno, quando i ricercatori eseguono gli esperimenti. Però è chiaro che non è fisiologico. Sono costretti a ritmi circadiani completamente invertiti e artificiali. Inoltre, per esempio, al loro arrivo dalla ditta, i ratti vengono messi in gabbia a due a due, e lì vengono lasciati per 24 ore ad ambientarsi, prima che vengano sottoposti ai primi esperimenti. In molti casi, a cui ho assistito personalmente, gli animali vengono fatti riprodurre nello stabulario, il che significa andare incontro ad una consanguineità elevata, che porta velocemente (considerato il ciclo riproduttivo dei roditori) ad alterazioni negli animali. Ovviamente alcune femmine vengono sottoposte a cicli riproduttivi continui, che porta ad una serie di complicazioni fisiologiche e psicologiche per l'animale. I topi allevati nello stabulario sono detenuti in quattro esemplari per gabbia, per distinguerli l'uno dall'altro gli vengono praticati dei buchi nelle orecchie, a destra, a sinistra, su entrambe o nessuno. A ognuno di loro viene eseguito un test del DNA, attraverso l'analisi di una parte della coda che viene loro amputata.

D: Hai mai provato empatia nei confronti di questi animali? Cos'hai provato quando ti sei confrontata con la necessità di assistere o praticare a questi esperimenti?

R: Certe cose ti colpiscono, come il vedere che vengono catalogati e trattati come oggetti. Già in ambito universitario, sei un po' obbligato a confrontarti con certi aspetti della sperimentazione animale. Seppur io abbia scelto argomenti di studio che si allontanavano da argomenti che prevedevano l'impiego di esperimenti sugli animali, e abbia fatto il possibile per tenermene a distanza, sapevo a cosa andavo incontro. Certo è che una volta arrivato in sede di ricerca, in base all'ambito c'è un utilizzo più o meno elevato degli animali. Non tutti gli studi prevedono l'impiego di animali o di tessuti provenienti da essi. Purtroppo il reparto in cui sono finita io era uno di quelli che ne faceva uso. Ho cercato il più possibile di sottrarmi a questi esperimenti. Nel momento in cui però ho visto che, andando avanti nel mio cammino, avrei dovuto per forza sottoporre gli animali a questa pratica, la mia reazione è stata quella di abbandonare. Non me la sono sentita di intraprendere un percorso che mi avrebbe inesorabilmente portato verso la pratica diretta della sperimentazione animale.

D: La legge italiana prevede l'obiezione di coscienza, ha mai conosciuto qualcuno che abbia fatto questa scelta? I professori danno modo in intraprendere percorsi alternativi a quelli che prevedono la sperimentazione animale?

R: La legge lo consente, è vero. Ma è anche vero che lo studente si ritrova nella posizione di dover accettare ciò che gli viene imposto, ad esempio mi ricordo di una ragazza che venne a proporre una tesi all'università di Brescia, dichiarando però di essere obiettrice e quindi non voleva utilizzare animali. Non è stata proprio maltrattata, ma gentilmente invitata a recarsi altrove. Ci sono come ripeto dei filoni di ricerca in cui l'animale non viene utilizzato, che guarda caso sono quelli che danno i risultati più importanti. Però laddove è prevista la sperimentazione sugli animali, si assume ovviamente persone che non si sottraggono alla pratica.

D: Secondo te c'è un meccanismo che consente a chi esegue gli esperimenti di escludere i sentimenti di spontanea e naturale compassione ed empatia nei confronti di questi esseri senzienti?

R: Quello che posso dirti è che, quando sei in università, credi così tanto nel percorso della ricerca che vedi certe cose sotto una luce differente. Per cui quando i professori ti dicono che quel particolare esperimento serve a ricercare quel particolare farmaco, ovviamente ci credi. Dentro di te ti dici che ti dispiace per l'animale che sacrifichi, ma per un bene più grande e la possibilità di salvare delle persone vale la pena di farlo.

D: I professori sono effettivamente figure autorevoli, agli occhi dei loro studenti.

R: Assolutamente. Riponi fiducia nella ricerca, nelle persone che incontri e nel sistema. Pian piano però ti accorgi che non è così. Io, mano a mano che proseguivo nel mio percorso, mi rendevo conto che alcuni esperimenti erano totalmente inutili, è a quel punto che si comincia a capire che ci sono altre strade più valide.

D: Ci sono altre dinamiche quindi che portano chi pratica la vivisezione a non rendersi conto dell'infruttuosità dei sistemi che usano?

R: Molti non hanno alcun tipo di sensibilità nei confronti degli altri animali. Partono quindi con un vantaggio sugli altri perché non hanno il minimo scrupolo. Non considerano l'animale come un essere senziente e degno di non soffrire per mano dell'essere umano. Per quelli che invece magari sono cresciuti con un senso di rispetto nei confronti degli animali, si innesca inevitabilmente un meccanismo di difesa che assopisce questo sentimento. Quindi devi essere effettivamente vigile e devi renderti conto di quello che stai facendo, perché ad un certo punto è necessario aprire gli occhi.

D: Considerata appunto la tua esperienza, pensi che esista una ragione valida per praticare la vivisezione?

R: No. Secondo me no, perché tutti gli esperimenti che ho avuto modo di osservare nella mia permanenza all'università di Brescia, erano pratiche finalizzate esclusivamente alla pubblicazione. Cioè, prendo venti ratti, lesiono loro alcune aree neuronali, poi li uccido e ne estraggo il cervello per analizzarlo e poi infine pubblicare i risultati. Quindi ciò che emerge dagli esperimenti è completamente fine a sé stesso, sennonché quella pubblicazione mi vale il primo nome su di una rivista di successo. Conseguentemente Telethon, o il finanziamento a cui miro, arriverà a me. Cosicché, con quei soldi, io possa finanziare una nuova ricerca finalizzata ad un'altra pubblicazione e un altro finanziamento... e via dicendo.
Non sto dicendo che l'intero mondo della ricerca funziona così. Ci sono ricerche mosse dall'interesse scientifico e con fini nobili, ma la maggior parte delle ricerche, soprattutto quelle che impiegano animali hanno come ultimo e unico fine quello di ottenere risorse da investire in altre ricerche dello stesso genere.

D: Qual'é stato, se c'è stato, il momento critico che ti ha portato ad abbandonare il mondo della sperimentazione animale?

R: Non c'è stato un vero e proprio episodio scatenante. Si è trattato di un percorso interno e personale. Era sempre più difficile credere in ciò che stavamo facendo, di fronte alla realtà dei fatti che tutto quello che ottenevamo di anno in anno erano esclusivamente delle pubblicazioni su riviste prestigiose, ma nessun risultato veniva conseguito se non quello di ottenere un finanziamento da applicare l'anno seguente per fare lo stesso esperimento con un altro farmaco, o cambiando animale. Quindi pian piano vedi gli orrori che questi esseri viventi sono costretti a subire, vedi che la loro sofferenza non porta nessun tipo di risultato e apri gli occhi.

D: Lungo il tuo percorso hai mai avuto modo di confrontarti con esponenti del movimento antivivisezionista etico e antispecista? Ti è mai successo di avere discussioni con qualcuno sulla sperimentazione animale?

R: No. Quando sei in quell'ambiente vivi come in una bolla e certe argomentazioni passano in sordina. Non sono entrata in contatto con certe posizioni fino al momento in cui ho abbandonato l'università di Brescia. Quando ho interrotto il mio dottorato, dall'oggi al domani, me ne sono andata nelle ire dei miei professori, che si aspettano da te molta gratitudine per il percorso di prestigio che ti consentono di compiere.

D: Se potessi oggi parlare con un vivisettore, o alla futura generazione di ricercatori, cosa vorresti dire loro?

R: Il mio attuale lavoro consiste nel confrontarmi con i ragazzi che poi un giorno forse sceglieranno questo percorso. Siccome fortunatamente continuo ad insegnare scienze, cerco di trasmettere ai ragazzi proprio questo messaggio, cioè che la ricerca è importante, ma deve essere una ricerca non autoreferenziale e finalizzata a sé stessa, ma al vero progresso. Progresso che non è la vivisezione.
Parlare con i ragazzi mi dà molta soddisfazione, perché dimostrano di capire. La mia preoccupazione è che una volta che arriveranno all'università, si ritrovino a confrontarsi con questo o quel professore che sminuisce il loro punto di vista, e li convinca dell'irrinunciabilità della vivisezione. Quando sei all'università, sei debole.
Quindi cerco di farlo con decisione, e dove posso rimango in contatto con i ragazzi dopo che finiscono la scuola e ribadisco loro di non cedere ai diktat degli standard della ricerca sugli animali.

D: Ti capita di parlare della tua esperienza con la tua famiglia o i tuoi amici e conoscenti? Hai l'impressione che le persone abbiano la più pallida idea di cosa accade nei laboratori e negli stabulari delle loro città?

R: Purtroppo no. Da quando sono uscita di lì continuo a raccontare la mia storia. E il mio atteggiamento nei confronti della ricerca stessa è cambiato. Se prima al supermercato mi veniva chiesto un euro per Telethon l'avrei dato, oggi mi rifiuto categoricamente, perché so cosa c'è dietro. Quindi quando ho modo di sollevare la questione ne approfitto per raccontare la mia esperienza, e mi rendo conto di come la maggior parte delle persone sia completamente all'oscuro. Come se ci fosse una barriera, un muro dipinto di bianco che racconta una bugia e nasconde la realtà dei laboratori e degli stabulari.

D: Quando guardi indietro provi dei rimorsi per alcune scelte che hai fatto?

R: No. Sono molto contenta del percorso che ho fatto. Perché mi ha dato la consapevolezza per battermi armata della conoscenza e dell'esperienza diretta. Dove qualcuno mette in dubbio la validità delle mie posizioni antivivisezioniste, posso rispondere di aver vissuto personalmente la realtà dei laboratori. Avendo visto che i risultati dati dalla ricerca sugli animali non solo non valgono la sofferenza inflitta agli animali imprigionati negli stabulari, ma sono spesso finalizzati alla mera pubblicazione, posso consapevolmente dare la mia opinione.

venerdì 12 aprile 2013

SABATO 13 APRILE | BRESCIA FLASH MOB PER L’ABOLIZIONE DEGLI ALLEVAMENTI DI ANIMALI DA PELLICCIA

SABATO 13 APRILE | BRESCIA
FLASH MOB PER L’ABOLIZIONE DEGLI ALLEVAMENTI DI ANIMALI DA PELLICCIA



> Luogo e orario dell'azione verranno confermati in privato.

> Per appuntamento, info e modalità dell’azione scrivici a: antispecistilibertari@gnumerica.org (con oggetto flashmob)

Una giornata di informazione e mobilitazione in contemporanea in più città italiane. Per dare visibilità e forza alla campagna VisoniLiberi, per spingere verso la chiusura definitiva di tutti gli allevamenti di animali da pelliccia.

Sono almeno 170.000 i visoni che ogni anno vengono uccisi nelle camere a gas degli allevamenti italiani. I loro corpi saranno scuoiati e il loro manto strappato diventerà una pelliccia.
Questi animali selvatici vivono una vita in gabbia in nome del profitto e della vanità.

Tutta questa sofferenza deve avere fine.
Solo la nostra volontà e la nostra azione potranno riuscire ad ottenere questo risultato.
Ognuno di noi può fare la differenza.

> Partecipa a questa azione e diffondi la campagna: www.visoniliberi.org
  

Info:
email: antispecistilibertari@gnumerica.org
infoline: 3312183383
fb: antispecistilibertaribrescia

giovedì 4 aprile 2013

SERATA INFORMATIVA SUGLI ALLEVAMENTI DI VISONI



** SERATA INFORMATIVA SUGLI ALLEVAMENTI DI VISONI **

VENERDI’ 12 APRILE
ORE 20.30
presso la sala comunale in via V. Foppa 11/I
MONTIRONE (BS)

In supporto alla campagna ‘Visoniliberi’, il collettivo Antispecisti Libertari Brescia e il Comitato Montichiari contro Green Hill organizzano una serata informativa sugli allevamenti di visoni.

In Italia sono attivi e conosciuti 17 allevamenti di visoni, due di questi operano in provincia di Brescia, a Montirone e a Calvagese della Riviera.

A Montirone, in via Palazzo 76, è presente l’allevamento della famiglia De Poli, in cui sono prigionieri 3.500 visoni.

La vita di questi esseri viventi è dettata dalla noia, dallo stress, da comportamenti stereotipati, infatti gli animali sono costretti all’interno di gabbie molto ristrette costituite da rete metallica, compreso il fondo della gabbia. I segni di questa sofferenza sono le lacerazioni sulle teste e sulle zampe, la mutilazione degli arti causati da atti di cannibalismo e il continuo movimento frenetico e convulso. Gli individui feriti non vengono in alcun modo curati, nemmeno quelli agonizzanti perché sarebbe un intervento oneroso per l’allevatore in quanto il suo unico interesse è il prodotto finale: la pelliccia naturale del visone.

Si stima che solo in Italia vengano gassati e scuoiati 170.000 visoni.

> Visita il sito della campagna ‘Visoniliberi’
www.visoniliberi.org/

> Firma e diffondi la petizione per chiedere l’abolizione degli allevamenti di animali da pelliccia in Italia
www.visoniliberi.org/petizione/

Durante la serata: proiezione video, interventi e presentazione della campagna ‘Visoniliberi’ a cura dell’organizzazione Nemesi Animale.

VENERDI’ 12 APRILE
ORE 20.30
VIA V. FOPPA 11/I
MONTIRONE (BS)
  
INGRESSO LIBERO!
 
E’ importante denunciare e mostrare la realtà degli allevamenti di visoni e cosa sia realmente l’industria della pelliccia.
Ognuno di noi può scegliere di non essere complice di questo sterminio, decidendo di non acquistare pellicce, indumenti e accessori con inserti di pelliccia e capi in pelle.

Vi aspettiamo numerose e numerosi!
Antispecisti Libertari Brescia
Comitato Montichiari contro Green Hill

BUFFET VEGAN A SOSTEGNO DEL PROGETTO GNUMERICA.ORG



BUFFET VEGAN A SOSTEGNO DEL PROGETTO GNUMERICA.ORG

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ATTENZIONE! L'EVENTO E' STATO RIMANDATO!
LA NUOVA DATA VERRA' COMUNICATA IN SEGUITO!

Ci scusiamo per l'inconveniente. Riproporremo il nostro buffet vegan a sostegno di gnumerica.org più avanti!

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